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Araldica dei Bonzi.

 

 

 

 

STORIA DELL’ARALDICA.

Cognome: Bonzi

Dossier: 529

Tipo:Dossier Araldici

Lingua del testo: Italiano

Titoli: Conti – Nobili

Nobili in:Italia

Tipo di Stemma:

Interzato in fascia: nel primo d’argento all’aquila di nero; nel secondo d’azzurro al braccio destro, vestito di nero, e tenente colla mano di carnagione una scure in palo, d’argento, accostata da due stelle d’oro di sei raggi; nel terzo campo di cielo al pino al naturale.

Descrizione:

Famiglia ascritta al Maggior Consiglio di Crema nel 1738.

Facchino, impresario di barche del Serio, si adoperò vivamente a favore della Serenissima: con dogale veneta del 1450 ebbe per sé e discendenti in perpetuo il diritto di pesca sul fiume predetto ancora, goduto dalla famiglia.

Nel 1694 ottennero da Venezia, mediante sborso di ottocento ducati, l’investitura della giurisdizione sul Serio con prerogativa feudale nonché il titolo comitale.

Orazio, fervente democratico, partecipò ai Comizi di Lione nel 1802. Con sovrana risoluzione 9 aprile 1836 ottennero la conferma della nobiltà e del titolo comitale.

Sono iscritti nell’Elenco Ufficiale col titolo di “conte” per m. e di “nobile” per mf. in persona di: Antonio; di Francesco, di Leonardo. Fratelli: Elena, Laura Valeria in Garbati, Antonia, Carolina, Aldo, di Giuseppe, di Leonardo. Fratelli: Jole in Premoli, Amalia in Bissaccani, Clito, Enzo, Iro, Maria in Fadini, Rina in Premoli, Ercole. Figli di Ioro: Giuseppe, Leonardo, …

NOTE DALLA PAGINA DEL COMUNE DI RIPALTA CREMASCA

Villa Bonzi – San Michele

I Bonzi del ramo di San Michele – Leonardo Bonzi – Villa Privata Non visitabile


Possiamo porre come anno post quem per la costruzione della villa Bonzi di San Michele il 1685, data del catasto veneto che non ne porta traccia.

A questo punto non è azzardato supporre che l’abbia costruita (o abbia adattato un preesistente edificio) nella prima metà del Settecento il conte Ercole (+13.3.1761), colui che entrò finalmente a far parte del patriziato cittadino dopo aver sposato nel 1737 Valeria Vimercati.
Il catasto attribuisce il complesso, nel 1814, ai fratelli Ercole, Orazio, Luigi, Ottimo e Leonardo di fu Giuseppe, nipoti del citato conte. Era costituito dalla vera e propria casa di villeggiatura, da una casa da massaro, da orti e pascoli. (Cit. Zucchelli).
“Precisamente, stiamo vedendo la facciata della villa abitata ultimamente dal
Conte Leonardo Bonzi, quello de “L’Angelo dei Bimbi”, quello che con Lualdi e don Gnocchi (che diventerà beato tra non molto) è stato in America a raccogliere fondi (nel 1949 è tornato con 80 milioni di lire).

Tutti e tre sono stati ricevuti dal papa Pio XII , che si è molto interessato all’Opera di Assistenza ai mutilatini di Guerra. (Cit. P. Savoia).
[…] Il casato continuò con il fratello Leonardo (1785-1841), capitano di servizio dell’imperatore d’Austria.

Ebbe tre figli, Luigia, Leonardo Giuseppe (1826-1 864) e Giuseppe Ignazio (1830-1894). […]
Tra i figli di Giuseppe vi fu
Iro, padre di quel Bonzi Leonardo famoso per tutto quanto ha realizzato. Leonardo fu un atleta riconosciuto a livello internazionale (dal tennis, al bob, all’alpinismo) pilota di aereo effettuò numerose attraversate che potremmo definire estreme.
Nel marzo del 1939 ottenne il primato internazionale del percorso senza scalo Roma-Addis Abeba (1939) e, nell’agosto del 1941, guadagnò una medaglia d’oro al valore per un’eroica trasvolata anch’essa senza scalo dall’Italia a Gimma, nel Galla Sidamo (Etiopia) per venire in soccorso a un gruppo di soldati italiani accerchiati dal nemico e completamente isolati. […] Si deve inoltre al conte Leonardo anche la costituzione della riserva di caccia del Marzale con l’acquisto di notevoli fondi sulla riva del Serio nella località omonima, presso Ripalta Vecchia e tuttora esistente. (Cit. Zucchelli).
Leonardo fu inoltre cineasta, realizzando numerosi lungometraggi di carattere documentaristico e ottenendo riconoscimenti a Cannes e un David di Donatello.
Morì a San Michele nel 1977.
Proseguendo arriviamo poi al “Trampolino” (ora trattoria La Rosa Gialla) che oltre ad essere fino a qualche anno fa punto di riferimento per i camionisti che qui si fermavano per il pranzo e per un bicchiere di vino, era anche rivendita di tabacchi e monopolio di stato.

 

Sempre dal Comune rileviamo questo studio:

 

Villa Bonzi Ripalta Nuova – Casa e Parco

Di fronte alla chiesa di Ripalta Nuova si può ammirare quello che è uno dei palazzi più belli di Ripalta.

Il bellissimo cancello in ferro battuto dà accesso al giardino e alla villa Bonzi (Giardì e cà dal Cunt). Per i non longobardi (giardino e casa del conte).
I Bonzi chi sono?..
Proponiamo di seguito una piccola nota storica della famiglia Bonzi ricavata da quanto già pubblicato in diversi testi di carattere generale del Cremasco, ma cercando di sintetizzare quelle nozioni che riguardano più da vicino il loro rapporto con il nostro comune ed in particolare i discendenti che hanno dato vita alle due ville in Ripalta Cremasca e cioè: la Villa in Ripalta Nuova e, trattata successivamente, quella in San Michele.

Per le origini dei Bonzi utilizzeremo in particolare il testo scritto nel 1859 da F.S. Benvenuti (che cita Racchetti, Salomini, Terni e Zucchi) e un articolo de “La Provincia” del 1958:
Bonzi. — Di loro il Racchetti narra:

« Famiglia di barcajuoli antichissima in tal mestiere.

Il primo nominato nella genealogia si è un Ercole, il quale viveva al cominciare del secolo decimosettimo: ma fino dal 1462 certo Facchino Bonzi, barcajuolo, aveva una barca grande, o come è chiamata una nave, con la quale faceva il viaggio di Venezia partendo forse da Montodine o poco sotto, dove il Serio sbocca nell’Adda, e in questa condusse l’anno medesimo gli oratori mandati colà per congratularsi col nuovo principe Cristoforo Moro.

Poi allorchè erano in Crema i Francesi, un Bernardino , che il Terni chiama Bongi e il Fino Bonzi, conducendo con la sua barca un carico d’armi od altro che ad armi appartiene, fu preso e messo alla corda , su cui confessò che le trasportava a Venezia, accusando quali suoi complici parecchi geutiluomini cremaschi.

Gl’imputati si scolparono in suo confronto, egli venne squartato, e i suoi compagni ch’avea nella barca condannati alle forche, della qual pena alcuni si liberarono con denari.

Ciò avvenne nel 1509, sicchè Ercole il capo -stipite nella genealogia potea forse essere suo nipote: e forse che tale condanna ascritta a merito dei discendenti procacciò ad Ercole il feudo del fiume Serio di cui fu investito l’anno 16I0.

Ma i suoi successori non poterono mai tranquillamente goderne sino all’anno 1694, nel quale vennero di nuovo dalla Signoria confermati, investendone Bernardino co’ suoi fratelli e aggiungendovi il titolo di conte.»


Quanto ci narra il Racchetti, confermano la storia di Crema ed alcuni documenti che sono presso la famiglia Bonzi.

Leggemmo in questi che nel 1450 Facchino Bonzi, cittadino cremasco, essendosi adoperato perchè la città nostra cadesse sotto il dominio dei Veneziani, la repubblica, a rimeritarlo dei prestati servigi, gli concedette per cinque anni un diritto usufruttuario sulla pesca del Serio , nel qual diritto Facchino, decorsi i cinque anni, venne confermato.

E nel 1511, lo stesso diritto di pesca venne dalla repubblica riconfermato alla famiglia Bonzi pei meriti di Bernardino « il quale non degenerando (dice la Ducale) dalle ottime operazioni degli antiqui della famiglia sua che merita dalla signoria nostra lunga dimostrazione di gratitudine, persistendo in un’ardentissima disposizione, non ha dubitato a benefizio dello Stato nostro esponere e periclitare la vita sua, sicchè da’ nemici nostri è stato crudelissimamente squartato. »

Ed ancora nel 1610 la repubblica veneta rinnovava la concessione dei diritti giurisdizionali sul fiume Serio alla casa Bonzi, investendone Ercole Bonzi.

Ciò nondimeno i Bonzi venivano dal Comune pertinacemente molestati nel godimento degli acquisiti privilegi, ond’essi nel 1694 domandarono d’esserne formalmente investiti per ragion feudale, offrendo di pagare ottocento ducati acciocchè insieme all’investitura feudale siconcedesse loro il titolo di conti.

Quanto desideravano conseguirono, e furono creati Conti del Serio.
È nei patti dell’investitura che tutti i discendenti maschi legittimi godranno in perpetuo il diritto di pesca nel Serio con tutte le prerogative del feudo, e che, estinta la linea mascolina, devolvere si debba nel pubblico la ragion feudale.

Il diritto di pesca estendesi su tutta quella parte del fiume che scorre sul territorio cremasco, non che sul poco oro e sulle morte lasciate e fatte per esso fiume.
Durante il dominio dei Veneziani non bastava possedere il titolo di conte perchè il municipio cremasco considerasse una famiglia tra le nobili: bisognava essere aggregati al Consilio generale della città, e quest’aggregazione ottenne Ercole Bonzi nel secolo scorso, facilitandosene la via collo sposare una Vimercati.
La pesca nel Serio feudo dei conti Bonzi
Questa famiglia ha derivato anticamente il privilegio da Mozzanica a Boccaserio
e lo conserva tuttora
Crema, 10. – Sulle sponde del Serio, nei luoghi più frequentati, si trovano dei cippi di granito che recano incisa questa scritta:
“Fiume Serio – Diritto esclusivo di pesca, pesci e oro del conte Giuseppe Bonzi di Crema – Dal ponte di Mozzanica allo sbocco dell’Adda”.

È la famiglia Bonzi che ha fatto collocare questi cippi lungo le rive del Serio a pubblica affermazione dei propri diritti in base ai privilegi anticamente derivati e che essendo anch’oggi in possesso di questa esclusività, di tratto in tratto fa ripristinare le parole incise nel granito.

Il diritto di pesca fu esercitato nel corso dei secoli non tanto direttamente quanto per mezzo di affittuari.

I pesci d’acqua dolce più comuni erano, come lo sono ancora, le tinche, i balbi, i persici, le carpe, i carassi per non dire della minuteria come le lasche, i triotti, i pighi, le lamprede e quei curiosi pesciolini che vivono nelle ghiaiette “sfregagerra”; più pregiati i lucci e le anguille, oggetto di particolare stima le trote.
Le mutate condizioni del fiume non possono offrire oggi un’idea esatta del profitto che se ne poteva trarre anche se le acque, nel passato più abbondanti tranquille, erano assai più pescose e Bernardino Bonzi nel 1545 diceva apertamente che la giurisdizione sul Serio era più di aggravio che di guadagno.

L’aggravio veniva dall’onerosa vigilanza, dalle continue infrazioni e dei continui abusi che si verificavano.

I Bonzi (come narra il conte Enzo Bonzi della pubblicazione “I Conti del Serio”) furono per secoli continuamente provocati e tormentati nel loro feudo, ma per secoli difesero e rivendicarono i loro diritti contro privati contro i Comuni assai poco riguardosi di questo privilegio feudale.

Durante il dominio della Repubblica Veneta è una intermittente di “ducali”, di proclami, di sentenze e l’archivio di Casa Bonzi contiene grossi fascicoli che concernono cause, contestazioni e i riti di ogni genere, sempre riguardanti la pesca nel Serio e sempre concluse con il riconoscimento del diritto esclusivo feudale, la cui data di concessione non è peraltro precisata dalla citata pubblicazione.
Nel 1634, il 16 settembre, 11 uomini di Ripalta Vecchia furono condannati a sborsare in solido lire 100 per avere tentato di pescare a viva forza nella zona detta Villa di Rivolta Vecchia, furono condannati inoltre versare L. 30 al titolo di riparazione dei danni, più alle spese del processo.

Gli abitanti di Mozzanica nel 1679 sporgono querela contro il conte Sforza Griffoni di Sant’Angelo e contro gli abitanti di Gabbiano che gli impediscono di pescare nel “mortone” del Serio fra Gabbiano e Mozzanica, ed ottengono soddisfazione “perché essendo stata anticamente concesso a pescagione nel fiume serio e nelle sue morte alla Casa dei Bonzi cremaschi, come in Ducali 1435, non v’ha ad alcuno ingerirsene”.

Dal 1717 al 1794 rimane in archivio una collezione di ben 21 proclami stampati in crema e pubblicati “premesso prima il suono di tromba”, tutti dello stesso tenore cioè che “nessuno ardisca ne presuma di turbare, né far turbare lì Feudadarii nell’uso della Pesca, così del mio solidale pesce come dell’Oro”… come pure resti strettamente proibito il getto delle pastelle ai pessi… et ciò in pena di Ducati 500”.

Le “pastelle” erano a base di veleno, precedente, nei secoli, della pesca con le bombe e con il cloro.

Il Podestà e Capitano di Crema Marin Minio nel 1774 emana un proclama nel quale fra l’altro è detto: “… né vi sia alcuno che osi farsi lecito né con barche né in qualunque altra maniera a impedire, distrarre, molestare, né in alcun modo pregiudicare alle ragioni di detta fedelissima famiglia Bonzi nel Serio, né all’uso e di cui, fu investita dalla pesca come dell’oro ecc., in pena di Ducati 500”.
Questa strenua difesa del proprio feudo da parte dei conti Bonzi era in realtà una difesa del fiume come pubblico bene, e in questo senso è stata proseguita è mantenuta anche contro l’incomprensione di coloro che avrebbero dovuto comprenderla.

Col diminuire delle acque e con le distruzioni della pesca clandestina il patrimonio ittiologico della Serio del Serio è andato scemando e già nel 1891 i Bonzi ricorsero all’immissione di 7000 avannotti di trota, che fu proseguita nel 1903 e nel 1910 con immissione complessiva di 20.000 avannotti e nel 1911 e ripopolamento fu intensissimo per un totale di 65.000 avannotti in due riprese cui se ne aggiunsero altri 25.000, tutti sull’assegnazione del Ministero dell’Agricoltura.

La Grande Guerra, che distolse dalla cura ed alla guardia e che familiarizzò l’uso delle bombe e delle sostanze velenose, annullò poco poco i vantaggi tutte le emissioni.

Altre cause gravemente dannose alla piscicoltura sono state le sette dighe o palate costruite negli ultimi cinquant’anni che tornano dannose al diritto feudale perché impediscono il pesce di risalire il fiume, dato che non sono adottati accorgimenti prescritti dalle leggi per evitare danno alla piscicoltura oppure favorendo l’agricoltura la quale – è detto nella pubblicazione – “deve avere la preferenza sui pesci”. (Dal quotidiano La Provincia di venerdì 11 aprile 1958.) 

 

I due Rami Bonzi: (Ripalta Nuova)


Ma ritorniamo ora a chi ha permesso o contribuito alla realizzazione delle due ville Bonzi del comune.

L’ultimo erede della famiglia, proprietario della villa di Ripalta Nuova fu Antonio secondo l’albero genealogico riportato dal Zucchelli:
Ramo di Antonio:
-Leonardo Giuseppe (+1864), sposa Antonietta Severgnini.
-Francesco (+1909) Sposa Luigia Carioni e fonda la Villa in Ripalta Nuova
-Antonio (+1944)
Nel dettaglio riportiamo quanto scritto dall’autore e cioè:
Francesco Bonzi (+9.11.1909) era figlio di Leonardo (1826- 1864) e di Valeria Antonietta Severgnini (sposata nel 1848).

Aveva dato origine a un secondo ramo di famiglia, mentre dal fratello Giuseppe (1830-1894) discendeva il ramo di San Michele. (cit. Zucchelli)

Lo Zucchelli parlando di Francesco, relativamente ai possedimenti continua dicendo:

A motivo “del molto gravame e del poco guadagno” Francesco cedette anche tutti i suoi diritti sul fiume Serio ” al Conte Giuseppe (suo zio, ndr), nella cui famiglia vennero così ad essere concentrati e trasmessi i privilegi, che prima erano distribuiti su tutta la discendenza mascolina.

” Negli annali cremaschi viene citata la sorella di Francesco, la contessa Valeria che morì nubile il 12.10.1850 all’’età di set tant’anni. “Il suo nome è ricordato nel libro d ‘oro della beneficenza cittadina, perché con testamento del 20 settembre 1850 lasciò lire austriache trentamila da distribuirsi in parti uguali agli Istituti delle Zitelle, delle Ritirate e dei Mendicanti, e altre cinquemila all’Ospizio dei Poveri, affinché coi frutti di detto capitale si compri ogni anno tanta legna da fuoco che serva per le donne ivi ricoverate. ” (Cit. Zucchelli)

Le notizie circa le origini di questo palazzo sono però un po’ confuse.

Secondo infatti alcuni emeriti studiosi locali, primo fra tutti il nostro illustre Pietro Savoia, la costruzione viene fatta risalire al Settecento:
Pare che al progetto della costruzione settecentesca della villa vi abbia messo mano il Donati, l’architetto della chiesa; ma l’abitazione ha subito vari rimaneggiamenti; ne farebbe fede – tra l’altro – una data posta in cima allo scalone d’onore: 1888. Nell’ampio salone, oltre il caminetto in marmo, (un altro con gli stemmi è stato trasportato in giardino e usato come panchina) sono da notare le sedie monumentali, i cassettoni antichi e vari dipinti.

I pavimenti a tipo mosaico veneziano, le pareti istoriate con figure di animali, la luminosa veranda, meritano di essere attentamente osservati. (Cit. Pietro Savoia)

Studi più recenti (1993/94 nota tecnica Arch. Meanti Luigi) – dopo aver premesso circa le difficoltà della datazione della costruzione, la mancanza di documentazione e di informazioni (o la contraddittorietà di molte di esse) – cercano di ricostruire con rigore oggettivo l’origine del palazzo.
[…] dall’ analisi della Mappa del Comune Censuario di Ripalta Nuova rettificata nel 1842 risulta che il terreno dove ora sorgono la villa, il parco ed i rustici era occupato da abitazione che successivamente sono scomparse.

Il mappale 274 che in seguito sarà proprio della villa risulta essere censito come Prato di 5.38 pertiche cremasche e di proprietà di Valenti nobile Bartolomeo e di Piatti nobile Giulia usufruttuaria.
[…] Nell’ Archivio di Stato di Cremona il dilemma iniziale è stato fugato: ad una analisi della mappatura catastale riguardante il territorio di Ripalta Nuova risulta che nel 1842 il terreno attualmente occupato dalla villa e dalle pertinenze era occupato da abitazioni che vennero successivamente demolite per far posto alla villa ed al giardino.

La conferma di questa differenza ci perviene tramite la consultazione del “Libro delle particelle d’Estimo e dei Possessori” unitamente ai “Registri delle Partite Catastali” mediante i quali siamo riusciti a definire l’esatta proprietà e la consistenza del bene. Proseguendo nell’ analisi si scopre che l’attuale villa viene accatastata al Nuovo Catasto Fabbricati nel 1893 e risulta essere intestata al Conte Antonio Bonzi.

Sempre tramite l’analisi dei partitari siamo riusciti a ricostruire i vari passaggi di proprietà che proseguono fino agli attuali proprietari. Tutto ciò comunque non ci ha permesso di conoscere l’esatta data di costruzione ed il relativo estensore del progetto.

Particolarmente prezioso quanto fortuito si è rivelato l’accesso all’Archivio dell’Ufficio di Registro di Crema: accedendo a questo fondo siamo riusciti a visionare l’Atto di Successione della Contessa Luisa Carioni in Bonzi, madre del Conte Antonio, colei che per prima volle la costruzione della villa e del giardino.
[…] L’ulteriore prova la si ottiene, sempre dal “Libro delle Partite d’Estimo” in quanto il mappale 274 il 12 Maggio 1887 viene voltato a favore di Bonzi conte Antonio, Elena, Laura, Valeria ed Antonietta ossia i figli della Contessa Luisa Bonzi Carioni.

Dunque sappiamo che nel 1887 la villa non esisteva ancora; la data del 1888 che si legge chiaramente in cima allo scalone d’onore potrebbe far pensare proprio all’ anno d’inizio di costruzione; del resto l’accatastamento al Nuovo Catasto Fabbricati avviene solo nel 1893 ed il bene censito alla Partita 473 Bonzi conte Antonio fu Francesco risulta descritto come Casa Civile con Giardino avente 4 piani, 25 vani in Via Umberto I nel territorio di Ripalta Nuova. Un’ulteriore prova della mancata esistenza dalla villa ma della dichiarata volontà della defunta ci viene dal “Necrologio in onore della Contessa Luisa Bonzi Carioni” nel quale si legge che “…fatta assai più ricca, non pensò che ad edificarsi una villa, la quale e dal lato dell’igiene e dall’ ampiezza meglio rispondesse alle esigenze sociali, ai bisogni cresciuti.

Poveretta! Non ne vide che il disegno!”

Quanto detto sopra è confermato anche dal Zucchelli (Ville del Cremasco)
[…] Il catasto veneto del 1685 non registra infatti nessuna loro proprietà.

Quello del 1815 non segnala se non due piccoli appezzamenti di terreno a sud del paese, intestati a Bonzi Orazio di fu Giuseppe, che anticamente erano in riva al fiume il quale, in seguito, aveva cambiato corso.
[…] Sempre dal catasto del 1815, nella zona antistante la chiesa parrocchiale, troviamo vaste proprietà: a nord una casa con corte d’affitto, orti e prati del sacerdote Giuseppe Terni Paletti; a sud, una casa di villeggiatura con corte, relativa casa da massaro, orti e pascoli dei conti Valenti che avevano notevoli possedimenti in Ripalta, fin dal secolo XVII, come attesta il catasto veneto.

Il sito esatto dove sorgerà la villa Bonzi è ancora, nella mappa del 1848, un prato irrigato con viti e moroni, sempre dei Valenti proprietari pure della riva, di un bosco misto e di un prato aratorio posti ad est, verso il fiume.
[…] Il catasto registra in data 25.7.1885 il passaggio della suddetta proprietà, intestata alla nobile Ancilla Valenti (compresi gli spazi dove sorgerà la villa Bonzi) a Filippo Scarpini certamente per compravendita. Passano pochi mesi e quest’ultimo rivende il tutto alla nobile Luigia Carioni, moglie del conte Francesco Bonzi.

Alla nobil signora arriva, negli stessi anni, anche la proprietà a nord del sacerdote Giuseppe Terni.

Quest’ultimo l’aveva infatti ceduta nel 1852 al sacerdote Angelo Fasoli e al fratello Giuseppe e da quest’ultimi, poco dopo, era passata ai fratelli Paolo, Lodovico e Cristoforo Parati che la cedettero alle sorelle Laura Elena e Agostina, le quali – a loro volta – vendettero il tutto, il 6 novembre 1886, alla Carioni.
[…] La nobildonna era quindi riuscita a realizzare il progetto di unire una vasta proprietà in riva alla sponda destra del Serio, proprio di fronte quella riserva del Marzale che verrà costituita successivamente da Leonardo Bonzi sulla sponda sinistra.

Le due rive verranno quindi collegate con una passerella in legno sul fiume di cui i Bonzi avevano, da secoli, il diritto di pesca da Mozzanica allo sbocco nell’Adda.

Il progetto della Carioni si completò, nel giro di due anni, con la costruzione nel 1888, da parte del marito Francesco Bonzi, della grande villa che ancora oggi ammiriamo.

La data è certa perché la troviamo dipinta in un fregio del vano dello scalone della villa stessa. Non sono quindi attendibili le notizie secondo le quali la villa dovette essere stata disegnata da Giovanni Battista Donati di Lugano, l’architetto che progettò la chiesa parrocchiale nel 1739.
[…] La Carioni ottenne in eredità dallo zio Agostino Vimercati, deceduto celibe il 9.8.1886, anche il palazzo di via Matteotti in città (denominato ancora oggi con il nome di Bonzi).

Ma purtroppo la donna morì a 30 anni, il 29 dicembre dello stesso anno, appena dopo aver unito tutte le proprietà. Francesco aveva avuto da lei Antonio, Elena, Laura, Valeria, Luisa.

Ai figli vennero intestate le proprietà di Ripalta, mentre Francesco ne rimaneva usufruttuario.

Sposò in seguito una seconda donna, Ida Piacentini, dalla quale ebbe la figlia Lina.

Il catasto registra la villa dei figli di Francesco Bonzi solo nella revisione dei fabbricati del 1890: la definisce una casa civile con giardino di 4 piani e 25 vani.

Nel 1903 e nel 1904 è registrata l’uscita dalla proprietà delle sorelle Elena, Laura, Valeria, Luisa, per cui la villa di Ripalta Nuova restò solo al conte Antonio.

Due anni dopo arriverà anche la riunione di usufrutto con la morte del padre.
Antonio Bonzi ottenne dalla mamma anche il palazzo di via Matteotti in città e lo tenne per una trentina d’anni che gli bastarono per arricchirlo con I ‘intervento più qualificato di tutta la sua storia: la cappella affrescata da Giuseppe Eugenio Conti (1842-1909).
Il Bonzi acquistò fondi e case anche a Ripalta, impinguando le proprie proprietà.

Ben presto, tuttavia, il vizio del gioco lo costrinse ad alienarle in gran parte.

Vendette il palazzo di città dopo la prima guerra mondiale (nel 1934 perverrà in proprietà del Seminario vescovile), un opificio di San Michele a Cirillo Bruschi (14.9.1918), tre case di Ripalta rispettivamente a Giovanni Pagliari (il 3.8.1922), ai coniugi Zambelli (18.4.1933) e ad Angelo Citterio (16.4. 1940).”

Si tenne tuttavia la villa fino alla morte che avvenne il 20.ll.1944. La lasciò per testamento (del 18.12.1941) per metà al figlio Franco e il resto alle figlie Ida e Lodovica, nonché alla moglie Costanza Gallo.
Morto il conte Antonio, i figli non ebbero interesse a mantenere la proprietà di Ripalta.

Conclusa la guerra la vendettero, il 22.11.1945, alla “Castoro” srl con sede a Milano, mentre Bonzi Lodovica fu Antonio manteneva la parte di una casa nelle adiacenze della villa.
La Società “Castoro” si sciolse nei successivi anni Cinquanta e il 26.4.1956, con atto del notaio Gianì di Pandino, la bella casa con la vasta proprietà fondiaria passò a proprietà privata come è ancora oggi. (Cit. Zucchelli)


Il Giardino


Molti dei concittadini, negli anni passati, entravano abitualmente “in Giardino”, o perché i vicini si recavano per attingere l’acqua dal pozzo o anche solo per una visita ai proprietari Pandiani o per curiosare o “prendere il fresco”.

Non è stato più così per le ultime generazioni, le quali hanno sempre visto il cancello chiuso.

Da quando, infatti, per motivi chiaramente legati alla sicurezza, il cancello è stato automatizzato, non è più possibile gironzolare per i vialetti.

Solo nell’ultimo periodo, la disponibilità del nostro concittadino e proprietario Fortunato Pandiani (complice la reciproca fiducia nei confronti degli autori di questo testo) ha permesso di realizzare più manifestazioni culturali nella splendida cornice del parco di villa Bonzi.

È stato così possibile accedere al giardino rendendolo nuovamente fruibile ai concittadini e allo stesso tempo valorizzare l’importanza del monumento stesso.

Per noi autori, la prima volta che ci è stato concesso di poter oltrepassare il cancello, è stato emozionante, ci siamo sentiti “favoriti” nel poter camminare in un vialetto carico di storia, di poter ripercorrere gli stessi passi percorsi dalla nobiltà cremasca. Entrando, ci si sente piccoli, schiacciati dalla maestosità degli alberi; poter gironzolare accompagnati dai racconti dettagliati del proprietario per scoprire angoli, assaporare il profumo delle essenze arboree, poter entrare nella casa e ammirare affreschi, stemmi è stato un privilegio, un’esperienza molto suggestiva, preziosa e impagabile.

Inoltre, per l’occasione della stesura di questo testo, l’odierno proprietario Fortunato Pandiani, ha fatto censire gli alberi presenti.

Il censimento, effettuato a marzo 2016 (completo in appendice) riguarda quegli alberi più interessanti, o per età o per particolarità/rarità della specie nel nostro territorio.

Era infatti “moda” nell’Ottocento importare piante da altri continenti: spicca fra tutti, in bella mostra guardando attraverso il cancello, “’l Piantù”, un Cedro del Libano la cui età supera i 150 anni.

Il monumentale albero, che ha una circonferenza di cinque metri e 70 cm è anche censito nell’inventario regionale.

Ma vi sono altre specie molto antiche nel giardino: i 7 Cipressi di Lawson (90/100 anni), i 46 Tassi o Albero della morte (14 di questi superano i 100 anni) il cui seme contenuto nel frutto è mortale. In primavera, accedere al giardino è un’esplosione di colori e profumi: Magnolia, Nocciolo, Camelia, Pesco, il refrigerio dell’ombra, l’atmosfera fiabesca, l’inquietudine della sera… insomma: un patrimonio ripaltese.
All’ingresso un vialetto di fronte ed uno a sinistra, portano alla casa. Il primo sentiero permette di ammirare l’ultracentenario “Cedro del Libano”.
Proseguendo si può scorgere il ponticello sotto cui passava l’acqua di un fossetto (ora, causa la cessione dei diritti dell’acqua da parte del fu Antonio di acqua non ne passa più).
“il ponte dei nani” sotto il quale scorreva una roggia, derivazione di un diritto d’acqua, anch’esso venduto da Antonio Bonzi.

A sud e a nord del parco esistono ancora le antiche parti agricole e di servizio della villa (oggi trasformate) (Cit. Zucchelli).
Sul lato destro si incontra la casetta del pozzo. Da questo punto, una siepe accompagna il visitatore fino alla Casa.
Se imbocchiamo il vialetto di sinistra invece, percorriamo un semicerchio che ci porta ad ammirare l’esplosione di verde di tutto il giardino fino ad affiancare il bambù gigante e successivamente gli alberi da frutto.
Intanto quella che comunemente è detta ancora villa Bonzi, perché abitata per parecchi decenni dalla gentilizia famiglia, ma che in realtà era dei Carioni – Vimercati, è ora dei signori Pandiani ­ Benelli
La villa è inserita nel giardino al quale si accede dalla via principale del paese; notevole è il cancello d’ingresso in ferro battuto recentemente elettrificato.

L’impianto del giardino è all’inglese; tale impostazione è confermata, oltre che dall’irregolarità geometrica, anche dalla presenza di un ponticello, di un gazebo, di una voliera e di grotte rocciose sparse casualmente che alimentano il clima suggestivo caratterizzante l’intero complesso.

È possibile affermare, con un pizzico di immaginazione, che il tracciatore del giardino è riuscito ad interpretare appieno i desideri inconclusi della Contessa Bonzi, in quanto già la scelta stessa del terreno “…sulla costiera che domina il Serio” è risultata particolarmente favorevole nel creare quell’ambiente naturale-artificiale che potesse “…dar luogo ad un apparente «grato disordine» ed una controllata confusione; così che passando dall’una all’altra scena ci si imbatte come per caso in una veduta particolarmente bella o su un altro piacevole oggetto”.

Un’altra peculiarità del parco è rappresentata dalla presenza di essenze arboree insolite nel territorio cremasco: accanto a noccioli, pini, magnolie, castagni e ippocastani troviamo infatti cedri libanesi, sofore ed altri alberi importati dall’estero.

Era questa un’usanza diffusa alla fine del secolo scorso e che rifletteva appieno il gusto eclettico e decadente del periodo, aperto a nuove esperienze e pronto a recepire nuovi messaggi e nuovi stimoli.

Un discorso a parte, infine, nella descrizione del giardino, merita la parte orientale che declina verso il Serio: attualmente essa è occupata da alberi da frutto e da vigne, mentre sul terreno che si estende nella conca, vengono coltivate colture erbacee (Arboree N.d.R). (Cit. Luigi Meanti)

Citiamo di seguito la descrizione della proprietà fatta dallo Zucchelli:
L’attuale proprietà, di circa 50.000 metri quadrati (cinque ettari che equivalgono a circa 15 pertiche), comprende il parco, la villa e buona parte del versante della valle fluviale che però non arriva più al Serio.

È chiusa infatti a est da un muro di cinta che si apre con un cancello su una campereccia.

Si tratta ancora comunque di un vastissimo spazio, oggi variamente coltivato, lo stesso che anticamente era occupato da un laghetto, alimentato da un ramo morto del fiume (vi si vede ancora il ponte del bocchello) e che faceva da cerniera tra la casa e il fiume e dava al tutto un tocco molto suggestivo (il laghetto è disegnato dalle mappe catastali del 1901).

Nei campi più a oriente vicini al fiume, ora di altra proprietà, si vedono ancora i resti di una vecchia muraglia che delimitava l’antico podere dei Bonzi.
Dal basso della valle, si gode una superba visione della villa, con il suo aspetto austero, unico – per certi versi – nel Cremasco, immersa tra alberi secolari, dietro alla quale svetta il delizioso campanile della parrocchiale. (Cit. Zucchelli).


La Casa


Al termine dei vialetti uno spiazzo a ghiaietto circonda la villa. Maestosa e solenne si erge fiera nella sua antichità.
La villa Bonzi è un edificio imponente a forma cubica con soffitto a quattro spioventi e di taglio neoclassico che si rifà al gusto romano con solenni finestre a timpani alternativamente triangolari e a segmento circolare.

Una caratteristica dei palazzi di città, che non abbiamo trovato in nessuna villa del Cremasco, salvo che nei disegni della distrutta villa Torricelle di Santa Maria della Croce.

I ferri battuti e gli stucchi interni richiamano invece un gusto eclettico-floreale, tipico del la fine Ottocento e inizio Novecento. (Cit. Zucchelli).

La facciata principale è austera e lineare (è infatti interrotta solamente dalle finestre e dai marcapiani) su cui spicca il portone d’ingresso sovrastato da una tettoia in ferro battuto.

invece la facciata posteriore è più movimentata grazie al terrazzino racchiuso da una balaustra interrotta dall’accesso alla balconata stessa con tre gradini.

Sulla balaustra, che fanno da cornice ai gradini di accesso, due lampade a lanterna. Dal terrazzino è possibile accedere attraverso tre porte al salone d’onore.
Da qui i Bonzi potevano osservare l’intera valletta del Serio con il laghetto, i giochi d’acqua e il sentiero che portava sino al fiume. (Cit. Zucchelli).
La facciata laterale nord ricalca nella sobrietà la facciata orientale, mentre è la facciata sud la più “movimentata” della casa.

Spicca soprattutto il doppio arco coperto, chiuso da una balaustra, che permette l’accesso alla casa.

Sopra l’arco un balcone.

Dai racconti del proprietario, questo accesso sembra fosse riservato al personale di servizio.

Di fatto, appenna oltrepassato l’ingresso, una scala di servizio porta al piano inferiore dove erano situate le cucine.

Ancora ben conservato il camino con lo stemma del Conte.

Dalla facciata Sud si può ammirare, di fronte, il patio le cui colonne, alla base portano scolpito lo stemma del casato.

Dietro le abitazioni del personale di servizio (poi trasformate in abitazione dei dipendenti dell’Agip).

Muovendo poi lo sguardo, a sinistra, la voliera, posta a ridosso della scarpata che porta al Serio e, dietro, il patio.
Lasciando alle spalle la facciata sud e proseguendo verso la voliera si apre la vallata con i terreni di pertinenza.

Qui un tempo sorgeva un laghetto con un ponticello.

Tutt’intorno un muro di cinta che delimita la proprietà e che anticamente proseguiva fino al fiume dove una passerella collegava la proprietà di Ripalta Nuova con la tenuta di Ripalta Vecchia (che discuteremo in seguito trattando del conte Leonardo di San Michele). Gli occhi si perdono, si intravede ancora il ponticello, il cancello che permette l’accesso dalla lama del Serio e sulla sinistra le cascate e la splendida piscina.


Gli stemmi della villa 


Nella villa, affrescati oppure scolpiti nel legno o nella pietra, fanno bella mostra gli stemmi delle famiglie che hanno partecipato alla “vita” della casa.

Non solo quindi lo stemma del Bonzi, famiglia a cui è dedicata la dimora, ma anche lo stemma dei Carioni (la moglie Luigia) e dei Vimercati Sanseverino.

Era infatti norma che, conseguentemente al matrimonio, la sposa portasse con sè il proprio “corredo” araldico o addirittura, lo stemma veniva modificato incorporando, in uno dei quarti, il nuovo emblema araldico.
Questi stemmi li ritroviamo in molte parti, sulla cornice delle pareti dell’ingresso, nel salone d’onore o sulla scalinata che porta ai piani nobili, incisi nel legno degli scranni, sulla base delle colonne di sostegno del patio fino alla pietra del camino, dove figure allegoriche o angelici putti sostengono le cornici che racchiudono gli stemmi. Tra i tanti stemmi riconoscibili se ne frappongono altri di cui non si riconosce il casato.

San Valentino? Naaaa..

 

Smitizzo la parOdia del 14 febbraio dove tutti festeggiano l’amore e la rimando al 15 di febbraio giorno di San Faustino alias San Singolino.

Ergo come tutti gli anni, dedico il lato B agli ex innamorati, insomma la dedico a chi e’ solo, allo scoppiato, all’ex, all’amante in lista di attesa, al single di andata e a quello di ritorno ovvero al separato divorziato, divorziando, all’abbandonato, all’abbandonando e vai col gerunDio.

Avrete capito che questo post e’ dedicato ai cuori solitari per scelta altrui, a quelli che sono stati appena lasciati e non ci stanno, a quelli che ci starebbero anche se solo trovassero qualcun altro disposto a stare con loro, a quelli che fanno gli innamorati di riserva e da svariate festivita’ aspettano che lei/lui lasci il titolare, a quelli che “io dell’amore non mi aspetto piu’ una mazza” ma sperano ancora di aver detto una bugia, a quelli che non sanno che sapore ha il bacio con la lingua o non se lo ricordano piu’, e oggi per compensare mangiano una vagonata di cioccolatini, a quelli che se lo ricordano benissimo e mangiano troppi cioccolatini lo stesso, a quelli che cantava il pensionato Baglioni prima di abbandonare i concerti, “strada facendo troverai anche tu un gancio in mezzo al cielo” , a quelli che “ma fammi il piacere!.” e alzano la testa, cosi’, per controllare, a quelli che la testa non la alzano piu’, a quelli che leggono che a San Valentino martire, gli italiani pur essendo alla canna, spenderanno 800 milioni di euro in fiori, peluches, messaggini telefonici e cene a base di carciofi e pensano..”dove ca..spita andremo a finire?” e se ne fregano altamente della Meloni e dello Swarovski opps Zelensky, a quelli che “se potessi tornare indietro” o “ se riuscissi tirare avanti” e intanto intralciano il traffico o passano col rosso beccandosi la megamulta sui lavori in corso della Coop di Porcaro alla faccia del chemme frega tanto peggio di cosi’, a quelli che si sentono esclusi, sconfitti, diversi, incompresi, inadeguati ..soli…, eppure sono tantissimi, a quelli che non sentono piu’ niente e, dopo averlo rincorso invano, adesso scappano dall’amore, a quelli che tanto l’amore prima o poi li raggiungera’..(come diceva il mio amico di Dormelletto.. l’erba del Ticino e’ sempre piu’ verde)..

a tutti questi che ho citato

BUON SAN FAUSTINO.

 

Re Bischerone.

 

 

Sopra il trono sedea di Pontedera,

siccome scrive il padre Sparagione,

un Re congiunto a un’orrida mogliera;

Lasagna ella chiamossi, ei Bischerone,

e gentil figlia avean che gran prurito

sentía, dove grattarsi è proibito.

Stava costei la sera e la mattina

or la madre, or il padre importunando

col dire: – Ahi! la mi prude! ahi! me meschina!

Io piango, e ognor soccorso vi domando,

ma il piangere e il pregare è inoperoso…

Ah! parmi averci un Mongibello ascoso. –

Bischeron nelle spalle si stringea;

Lasagna suggeria: – Fai due fomente

d’acqua di malva alla pantasilea,

e passerà quel pizzicore ardente. –

Ma del calmante ad onta, il pizzicore

di giorno in giorno si facea maggiore.

E, tornando la madre a tormentare, diceva:

– Voi mi date erba trastulla;

le viscere mi sento consumare…

Ho ventun anno, e son sempre fanciulla…

Sentite; io vo’ accordarvi tempo un mese,

e poscia al mio cervel darò le spese. –

Lasagna Bischeron prese a quattr’occhi,

e disse: – Qui convien pensarci bene,

se non vogliam che scorno ce ne tocchi;

diamle marito. – Ei sollevò le schiene,

e rispose: – Madonna, a me non tocca

batterla a questo e a quello in sulla bocca.

E poi… fra questi Re circonvicini

veramente… non v’è nulla di buono!

Non vaglion, tutti insiem, sette quattrini,

e ragazzacci scapestrati sono;

maritarla ad un suddito non voglio,

ché nol soffre l’onor del nostro soglio.

Dunque…- Dunque, signore, è necessario, –

Lasagna replicò, – darle marito… –

– Oh! voi m’avete rotto il tafanario! –

esclamò Bischerone imbestialito…

– Uh! – rispose la moglie, – fate voi;

guardate non avervi a pentir poi! –

Ah!… – disse il Re più in calma, – il pizzicore

che la figliuola nostra cosi abbrugia,

opra certo sarà di quel rancore

che ha contro me la fata Menandugia!

È un pezzo che costei, dall’odio invasa,

fa dei dispetti alla regal mia Casa.

– Io non so s’è la fata o la natura, –

disse Lasagna; – so ben che bisogna

darle marito, e farlo addirittura,

o, lo ripeto, avrem scorno e vergogna

poi… – State zitta, – disse il Re… – melenso

non sono; eh cazzo! quando penso… penso!

Preghiera.

 

 

 

 

Donami la serenita’ di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che non posso accettare e la saggezza di nascondere i corpi di coloro che ho dovuto uccidere oggi perche’ mi hanno rotto le palle ieri.

Aiutami a stare attento ai piedi che pesto oggi, perche’ potrebbero essere collegati al culo che dovrei baciare domani.

Aiutami a ricordare quando ho proprio una brutta giornata e sembra che tutti cerchino di rompermi i coglioni che ci vogliono 42 muscoli per aggrottare il viso e solo 4 per stendere il mio dito medio e mandarli affanculo..

PEC era ora la sistemassero.

 

Dopo circa 11 anni in cui vengono emesse leggi per cercare di far funzionare la posta politica italiana,
dopo un ulteriore ammasso di leggi,
dopo leggi semestrali per cercare di farla fuzionare,
dopo l’uccisione della versione PACco,
dopo aver visto che neanche il processo telematico vuole utilizzare la PEC, perché si sa che altrimenti non funziona un cazzo,
dopo aver visto che comunque rimane tutt’oggi impossibile per un’azienda italiana mandare e ricevere comunicazioni, attraverso la presunta certificata italiana, soprattutto se inviate all’estero, la domanda sorge spontanea: perché non la facciamo finita?

mi chiuderanno il blog ma non mi interessa una sega in quanto..

La PEC è destinata a diventare uno strumento del passato e per gli utenti finali, tuttavia, la migrazione alla REM sarà un semplice aggiornamento.

Breve storia…

La posta elettronica certificata o PEC è nata nel 2005 con la pubblicazione di un Decreto Ministeriale che ne definiva le regole tecniche.

Non è utilizzata solamente in ambito business: gli utenti privati che se ne servono sono infatti in continua crescita.

Basti pensare che già nel 2020 il 43% di tutti gli utenti PEC erano persone fisiche.

Un aspetto importante, infatti, è quello legato alla mancata certificazione dell’identità del mittente: i gestori PEC non sono chiamati a verificare l’identità di chi attiva una casella di posta elettronica certificata come invece avviene nel caso di SPID, per esempio. (sebbene questa sembra sia destinata a soccombere sotto la scure della Giorgia).

Inoltre gli allegati a un messaggio PEC possono essere valutati in sede di giudizio come privi di sottoscrizione a meno che l’utente non decida di apporre anche la sua firma digitale.

Diversamente da ciò che ritengono in molti, la PEC non accerta in maniera inoppugnabile l’autenticità e l’integrità dei documenti trasmessi e deve essere quindi considerata come un mezzo di comunicazione, sebbene sia certificato nell’attuale implementazione rimasta sostanzialmente invariata dal 2005 – non soddisfa appieno i requisiti previsti dal Regolamento per il servizio elettronico di recapito certificato qualificato e fissati dal legislatore europeo.

Il Regolamento eIDAS (Regolamento europeo per l’identificazione elettronica e servizi fiduciari per le transazioni elettroniche nel mercato interno ha introdotto i Servizi Elettronici di Recapito Certificato (SERC) come servizi fiduciari (trust services).

Negli ultimi anni, quindi, un gruppo di lavoro si è occupato di individuare una base operativa comune e, in Italia, mettere a fuoco le modalità per il passaggio dalla PEC a un nuovo sistema di recapito certificato qualificato.

AgID in particolare ha provveduto a recepire l’applicazione degli standard individuati da ETSI, Istituto europeo per le norme di telecomunicazione, definendone i criteri di adozione e redigendo le regole tecniche per i servizi di recapito certificato a norma del regolamento eIDAS.

Per farla breve, lo strumento che colma le lacune della PEC, sara’ la REM (Registered Electronic Mail).

La buona notizia è che il lavoro svolto con la PEC non verra’ cestinato, anzi, può essere considerato come parte di un percorso virtuoso verso la migrazione alla REM e il passaggio da PEC a REM sarà “indolore” per tutti gli utenti… chi ha un account PEC attivo dovrà seguire il percorso di migrazione della propria utenza previsto dal gestore poiché adesso vi sarà il passaggio in più della verifica e della certificazione dell’identità.

Sul lato utente l’interfaccia per l’utilizzo della REM dovrebbe rimanere la stessa dell’attuale PEC (con l’aggiunta dell’obbligo circa l‘attivazione dell’autenticazione a due fattori, ciò che cambia sono, a monte, le interconnessioni con il sistema CSI e la puntuale adozione delle nuove regole tecniche da parte dei singoli gestori.

La data di migrazione da PEC a REM sarà nei primi mesi del 2024 e si sa solamente che i prestatori di servizi fiduciari basati su REM dovranno avere un capitale sociale di 5 milioni di euro contro il milione di euro dell’attuale PEC.

Voi sapete che partecipo alle domande/risposte del Quora e la lunga esposizione inerente alla PEC è quella dell’amico (lo considero tale) Claudio Monza.. troppo bella, veritiera, sagace, futuristica e soprattutto oggettiva e non cambio una virgola.. eccovela (vi consiglio i link finali)…

Claudio Monza

Che la pec vada chiusa lo dico da prima che fosse varata perché rendere ufficiale una posta fallace e spacciarla per certificata nel nome ha causato montagne di danni.

Potevano chiamale PEnC (posta elettronica non certificata) che sarebbe stato piu’ chiaro sulla funzionalita’.

Vedremo di leggere cosa e’ la REM e se e’ sicura.


aggiorno la risposta per quelli che anche qui contestano il sottoscritto quando dico che la PEC non e’ certificata:

pec peeec pec pec

Ora a distanza di 15 anni da quando dico che la PEC e’ una posta senza certificazione ci si accorge… che non e’ una posta certificata!

La botta e’ stata ricevuta anche ufficialmente, la Agid ha scoperto che….
La PEC nazionale è carente della certificazione sull’identità di mittenti e destinatari, un fattore che non consente la qualifica di posta certificata

WoW

in un altro documento

Inoltre gli allegati a un messaggio PEC [in realta’ tutto il messaggio] possono essere valutati in sede di giudizio come privi di sottoscrizione [ovvero non inviati dal soggetto]

In pratica non e’ neppure lontanamente una raccomandata AR.
Questo perché la posta non certifica
il transito,
la partenza e
l’arrivo…
perché non e’ una posta certificata!
Per che legge la mie follie non dovrebbe essere una novita’

e ancora

non soddisfa appieno i requisiti previsti sempre dal Regolamento per il servizio elettronico di recapito certificato qualificato. In particolare, attualmente non è prevista la verifica certa dell’identità del richiedente della casella di PEC.

Appieno, per smorzare i toni, o garantisci o non garantisci: o ci sei o non ci sei.
Non e’ che non sono a Parigi “appieno”.

Inoltre non è previsto che il gestore debba obbligatoriamente sottoporsi alle verifiche di conformità da parte degli organismi designati.

MA VA?
Fammi capire, se tu fornisci un sistema
sicuro non fai nessun tipo di analisi di sicurezza?

Ragazzi mi sembra di ricordare il sito grillino, sicuro perchè un amicone era davanti ad un server per vedere se nessuno toccasse la tastiera (da quando i server hanno la tastiera normalmente connessa?).
Qualsiasi sistema complesso che deve garantire qualcosa viene sottoposto ad un audit.
Se gestisce l’identita’ dei clienti e CERTIFICA a livello GIURIDICO finendo persino nel PENALE, il minimo che succede è che sia CERTIFICABILE a sua volta come sicuro e funzionale attraverso audit TERZI che controllano penetrazione e gestione.

Il fatto che nessuno lo chiedesse per una mail non certificata e senza sicurezza di consegna come la PEC e’ normale.
LA PEC ha la stessa valenza informatica del “mio cuggino ha sentito dire”.

Come e’ normale, e prevista anni prima dal pirla che scrive, l’enorme penetrazione con esfiltraggio di dati SENSIBILI capitata pochi anni fa con danni miliardari difficilmente quantificabili.
Che nessuno ha quantificato, perché nessuno doveva mettere in dubbio la PEC (Penetrazione Estrema del C di chi la usa).

Ma come e’ nata questa presa di coscienza?

Torniamo indietro di 15 anni.

Il governo dell’epoca si inventa sta ciofega e cerca di renderla nazionale.
Come ha fatto per altre cose, nel frattempo, cerca di renderla internazionale per i soliti motivi di leadership:
Se il sistema italiano fosse usato da tutti, automaticamente, avremmo un grande vantaggio competitivo.
O se preferite piu’ soldi.

Quindi da un decennio i propugnatori della PEC (posta enormemente cogli…) viene spinta per diventare un coso standard, se non mondiale (hanno anche infiltrato una RFC a caxxo), almeno europea.
Cari amici europei, facciamo tutti la PEC come la nostra, tutti amiconi, tutti felici pizza e mandolino con il sistema italianoooo!

Il problema che su cose tecniche molti europei dopo aver letto tale medda hanno fatto finta di nulla.

Altri stati avevano gia’ strumenti di vario tipo, il piu’ simile al nostro e’ quello dell’Islanda (fuori dall’EU, ma dentro nel giro di scambio e collaborazione), ma, in genere, non ne reputavano il bisogno.

Pero’ noi si insisteva tirando la giacchetta:
Cari amici europei, facciamo tutti la PEC come la nostra, tutti amiconi, tutti felici pizza e mandolino con il sistema italianoooo!
Cari amici europei, facciamo tutti la PEC come la nostra, tutti amiconi, tutti felici pizza e mandolino con il sistema italianoooo!
Cari amici europei, facciamo tutti la PEC come la nostra, tutti amiconi, tutti felici pizza e mandolino con il sistema italianoooo!

Pero’ a forza di rompere il birillo un giorno si e l’altro pure sti europei kattivi hanno acconsentito pur di levarseli dalla croste e hanno dato il compito all’ETSI di guardare alla ciofega.

l’Istituto Europeo per le norme di Telecomunicazioni, quello che ha standardizzato cosine come il GSM e l’UMTS, dopo aver passato una giornata a vomitare, hanno formalizzato che una posta elettronica europea dovrebbe essere CERTIFICATA e ovviamente INTER-OPERABILE e ha sparato fuori un pochino di linee guida.

Ovviamente la nostrana PEC (Pusillanimi Estremamente Contorti) in quell’istante (2018) e’ diventata fuori normativa EU ed esplicitamente non certificata, certificabile eccetera.
Non solo, ma di fatto acclaratamente impossibile da usarsi legalmente perché si evidenza la mancanza totale di sicurezze (il fax G3 e’ meglio, per dire).
Un relitto.

Avete letto da qualche parte che la PEC non é piu’ tecnicamente legale da settembre 2018?

Io no.
Eppure, se la logica non e’ un opinione, e’ stato ribadito, come ai tempi da un nostrano organismo statale, che la PEC non certifica nulla.

Lo standard ETSI EN 319 532-4, certifica cose come identità del mittente e del destinatario, contenuto delle comunicazioni e data/ora.

Non ho ancora letto lo standard ETSI, solo commentari, ma nulla di quella roba e’ garantita dalla PEC (di cui ho letto tutte le specifiche anni fa e non garantisce un ciuffolo, non piu’ di una mail normale.).

Ovviamente i giornaletti italiani, che hanno pubblicità pagate dai vari ArruBBo, non hanno detto un piffero, del resto provate anche ad immaginare in un processo che una mail inviata con la PEC, magari prova importante come con le multe, venga dichiarata nulla perché mai inviata.

Parliamoci chiaro, se non sappiamo chi la invia e se il contenuto non e’ valido, beh, le multe inviate via PEC non sono certo un avviso “5gg e poi muori”.
Potrebbe esserlo un SMS, ma non una PEC.

Rimane un problema anche il fatto che molti processi si sono basati sulla CERTEZZA che la PEC fosse certificata.
Cosa si fa ora?
Si rifanno?
Il giudice si scusa di aver accettato come un pirla una posta elettronica normale come certificata?

Le multe che sono raddoppiate?
Lo stato restituisce il MALTOLTO?

La questione e’ cosa fare ORA delle PEC (Puttanata Estremamente Cinghialesca).

La cosa piu’ ovvia, come dico da anni e’ rottamare tutto, ripartire da zero e magari adottare uno standard meno scemo.

Il problema che oggi ci sono, 23 societa’ (a secoda dell’ente si parla di 20-24) che hanno messo sul piatto un saccone di soldi per diventare fornitori di PEC (Pasta Ecologica alle Cozze, ovviamente DOP) e non puoi lasciarli a secco.
Gli hai promesso PROFITTI in cambio di SOLDI spesi.

Ci sono 14 milioni di poveretti che hanno subito questo pericolo raccontando loro che era posta certificata, non e’ che puoi dire loro che era tutta una balla, hanno usato la mail gratis di libero, ci siamo sbagliati, scusateci di quello che vi avevano detto non era vero niente, tornate ad usare la vostra mail gratuita che funziona meglio.

Vi chiederete come ho scoperto della cosa che viene cosi’ bene taciuta.

La pulce nell’orecchio a ottobre 2022 mi e’ stata messa da una frasina in un contratto che stavo leggendo per sapere se potevo evitare la PEC (Proprio Elevato Cesso) e relativi pericoli per la mia persona per una cosa.
Leggo…

“La PEC diventa interoperabile a livello europeo”

Siccome gli europei non sono tutti scemi, la frase mi aveva stupito.
Molto.
Non e’ tecnicamente possibile.

La realtà come abbiamo visto è molto diversa gli europei hanno detto che la PEC non puo’ essere interoperabile a livello comunale, figuriamoci europeo.

Idem dicono gli attori della commedia triste
“La PEC, quindi, è pronta a varcare i confini nazionali”
Marco Mangiulli, CIO & Head of Software Development arruBBa

Se mi avete seguito fino a qui sapete che e’ impossibile: vorrebbe dire, fra le tante, che potete sparare mail anonime di SPAM in un sistema certificato spacciandovi per qualcun altro e truffarlo.
Come successo con la PEC (Profittosi Erculei Contraffattori).

Cosa sta succedendo nella realtà?
Semplice stanno implementando una nuova mail, pare che il nome sarà REM (come chiamare un giornale “giornale”).

Ovviamente il cambio, stando a come leggo nelle varie informative che sono nascoste nei provider, sara’ fatto come:
“hei stupido consumatore, per colpa dell’europa ci tocca cambiare yabba dabba.
Da ora in poi XXX fornisce RAM la PEC europea plus”

Cosi’ crederanno che sara’ una PEC con qualcosa che i kattivi dell’Europa ci hanno imposto.

Ma non e’ l’unica cosa, salvo di cambiare l’impianto generale, ricordiamo che la PEC e’ prevalentemente una WEBmail sfigata, all’inizio non era neppure permesso usare un Thunderbird, dopo alcuni provider avevano un sistema errato di farlo: sara’ divertente vedere come funziona l’accesso.

Perche, ricordiamo, non puo’ essere il provider a fornire l’accesso ad una persona fisica, la persona fisica e’ sconosciuta e non certificata, il mittente nella PEC e’ ANONIMO per definizione di sistema.
Salvo che si richieda a TUTTI i 14 milioni di utenti di verificare l’identità.
Lascio solo immaginare l’ondata di lavoro necessaria da parte dei provider, anche se fosse in qualche maniera automatizzato l’onda delle telefonate all’assistenza azzererebbe i profitti fino all’esaurimento del sole.

Se il sito viene fatto di merda come prima, o non si vuole spendere, potrebbe accadere di dover accedere per spedire una mail tramite autenticazione ESTERNA, che automaticamente determinerebbe l’identità, che se fatta bene si userà la CIE, se fatta in qualche maniera la CNS e se prodotta con il deretano potrebbe essere lo SPID.

Ma i problemi non finiscono qui.

Il nuovo sistema potrebbe essere la volta in cui si definiscono i nomi corretti alle cose, oltre al termine “certificata”.

Perché, salvo mantenere il doppio di caselle di posta (COSTI) per avere disponibilità dei messaggi passati, la cosa che probabilmente faranno e’ copiare le mail ricevute/inviate sui nuovi server, ovviamente saranno marcate come “non certificate”
Ma sorge un secondo problema semantico:
Come chiamare la ricevuta di spedizione che oggi viene spacciata per ricezione?

La domanda non e’ peregrina.
La questione e’ se considerare ancora le mail partite come “lette per legge” o finalmente e’ arrivato il momento di considerare letto l’avviso di una multa quando letto?
Non sembra ma ci sono ponti lunghi che sono piu’ lunghi dei giorni concessi par pagare delle multe, soprattutto se spediti alle 18:00.

Insomma anche se l’europa cerca di salvarci non solo noi diamo dei formidabili ID e fare delle leggi per renderla malfatta (come appunto considerarla letta appena spedita)
Inoltre gli europei saranno mediamente piu’ istruiti di noi, ma potrebbero comunque fare errori.

Vedremo se queta REM sara’ veramente buona come una S/mime (o addiritura meglio), se sarà solo un piccolo passo in avanti, o sara configurata come l’ennesima puxxanata.

Le puntate piu’ assurde

allego i link –

http://allarovescia.blogspot.com/2016/05/peccato-che-esisti.html

http://allarovescia.blogspot.com/2018/07/la-pec-colpisce-ancora.html

Lavorare col ferro.

 L’Idraulico..

Il Fresatore..

Flipper

Chopper

Il Chirurgo

Il Barista

Il Ricercatore

L’Astronomo

L’Aereo.

Il Sommozzatore

 

Lo scrivano.

 

Il Saldatore

Il Programmatore

Il Parrucchiere

Il Paracadutista

Il Medico.

Il Maniscalco.

E non dimentichiamo un poco di svago…

in giardino..

 

Al parco..

in salotto..

al tepore del caminetto..

e per oggi..basta lavorare col ferro.

Auguri da Carlo.

 

 

 

Una decina di ore e il 2022 se ne andra’ lasciando posto al 2023 con tutte le sue incognite, dove ognuno scrivera’ un pezzo di se’.

E’ inutile fare bilanci perche’ quando si fanno, i conti non tornano mai.. quello che comunque abbiamo fatto spesso non ci basta e l’avuto ci sembrera’ sempre troppo poco rispetto al dato.

Ma se questo bilancio lo facessimo con il cuore, se ci guardassimo dentro e se guardassimo cio’ che ci circonda, l’avuto potrebbe trasformarsi in immenso e il dato apparire una nullita’.

Mentre molti di noi brinderanno all’anno nuovo con il cuore colmo di gioia e di speranza, con nuovi progetti nel cassetto la penna pronta a scrivere il proprio poi… migliaia di vite si spegneranno ( un r.i.p. al papa emerito ), migliaia chiuderanno la loro storia senza avere piu’ nulla da scrivere.

Molti ci lasceranno mentre le ore comporranno questo nuovo anno fra risate e calici pieni di spumante o champagne, c’e’ chi smettera’ di raccontare di se’… e… c’e’ chi iniziera’ a raccontare di se’.

C’e’ chi vorrebbe potersene andare per smettere di soffrire, chi vorrebbe trattenersi ancora.

Si’, nel mondo milioni smetteranno di scrivere e milioni si affacceranno a farlo.

Questa e’ la vita….

Che possa quest’anno concludersi o il prossimo iniziare per tutti con la serenita’ nel cuore.

Che il dolore del perduto possa dissolversi nel piu’ breve tempo possibile.

Che la solitudine possa abbracciare nuovamente l’amore e per chi arriva e per chi resta possa essere un anno sereno colmo d’amore.

BUON ANNO a chi e’ appena nato, a chi e’ a meta strada, a chi attende a chi non sa attendere a chi impaziente vive a chi vive sperando a chi non spera piu’ ai bambini, a chi bambino non e’ mai stato, agli anziani, a chi non ha avuto, a chi ha avuto molto, a chi troppe volte ha pianto a chi non sa’ piangere a chi troppo stanco sopravvive, a chi nella mia vita e’ passato anche per un solo attimo regalandomi un sorriso o una lacrima, a chi mi ha amato, a chi ho amato, a chi mi odia, a chi mi conosce, a chi non conosco… a chi semplicemente vive..

Auguro un anno fatto di sogni, desideri amori e fantasia un anno da Vivere serenamente con la visione del bicchiere meta’ pieno (nel mio caso ..di grappa ..rigorosamente con genziana per la gioia del mio fegato..ammesso di averlo ancora), non potevo di certo chiudere il post nella maniera seria e spero..dico spero di continuare a vedere la vita cosi’ seguendo sempre i consigli del nonno che voi conoscete per la moltitudine di volte che ve l’ho esplicata quindi schiena al muro e non abbassatevi mai e se per caso ve lo.. finita con ve lo..

Auguri anche al bassetto russo ricordandogli che la legge fisica dice che quello che si tenta di acquisire in velocita’ si perde in potenza e di non fare come certe persone che occupano il tempo a studiare il trucco del mestiere e sto mestiere non riescono a farlo e magari scannerizzano francobolli per inviare posta elettronica.. sono i nuovi arrivati che hanno frequentato scuole pratiche nel senso letterale del lemma ovvero che in pratica non hanno capito ‘na mazza

vabbuo’ 

TANTI AUGURI. (di cuore)..


Parolacce.

 

Azz Noel e’ passato, SantoStefano pure, ci manca solo la botta del fine anno e poi si ricomincia.

Certo e’ che l‘azz iniziale stona col periodo.. ma sono le parole brutte, sporche, quelle sconce, usate per offendere, piu’ conosciute come parolacce, che esprimono il linguaggio delle emozioni.

Sono quelle espressioni che danno voce all’inesprimibile.. la rabbia, la sorpresa, la paura.

Un insulto, un’esplosione verbale che oltraggia, un’ingiuria, un improperio, un’insolenza.. il turpiloquio e’ una costante del comportamento umano, una corrente elettrica che attraversa da sempre il linguaggio individuale e collettivo, che compare dagli esordi della comunicazione verbale, in ogni civilta’.
Davanti a un’emozione, il parlante, attonito, rimane a corto di parole e ricorre a un intercalare, o a un’espressione che ha piu’ valore di mille parole messe insieme.. e’ quell’emozione che, essendo tale, non si riesce a verbalizzare in altro modo se non rifacendosi a un’espressione che, pero’, molto spesso, risulta volgare.

Se da una parte le parolacce diventano un segno di poverta’ lessicale, dall’altra il giusto peso, nonche’ uso, del significato sono prerogativa del parlante nativo.

<<Cazzo ma mi vedi a parlare cosi’ cara Lella? Trasecolo. Sbalordisco. Sbarabaquakko, ma e’ vero quello che mi hai accennato?. >>

Certo che e’ vero caro mio… dire le “parolacce” e’ reato.

<<Oh, minchia. Non ci posso credere,tutte cazzate».

No Carlo, e’ la Cassazione che lo dice.

«Tutte Cassate (da Cassazione, l’hai capita?eheh)».

Fai… fai dell’ironia idiota.

Guarda che tu non avrai altro futuro che la galera.

Leggi qua, talpaccia ottusa. La condanna e’ per le parolacce evocative (richiamanti) degli organi sessuali.

<<Sarebbe?>>

Che non si possono dire quelle che hanno di mezzo riferimenti a organi di sesso.

<<Tipo>>?

Tipo che testa di cazzo non si puo’ dire ma faccia di merda si’.

<< Mmmm…Non sarei cosi’ sicuro tu mi prendi per il culo>>.

Lo dice la Cassazione. Leggi il labiale. Stronzo si puo’ dire mentre non mi rompere i coglioni no…e tu ce l’hai sempre in bocca sta frase..

<<Basta. Ho capito. Lo sa il caga ma non e’ il caso di fare altri esempi poi ho gia’ smesso di fumare a suo tempo, vorra’ dire che smettero’ anche di dire le parolacce, ma non credo di farcela sai?».

Devi resistere Carlo. Mordi il fazzoletto.

<<E’ che non reggo proprio l’astinenza. Non vendono neanche le gomme da masticare come quelle alla nicotina per chi vuole cessare il fumaggio>>.

Basta fare con le parolacce come per le sigarette.

<<Cioe’>>?

Ne dici solo tre al giorno. Una dopo pranzo, una dopo cena e una la sera guardando la tv. Quella te la godi proprio. Ti metti in poltrona, in pigiama e via che ti liberi mentre ti guardi i film di azione sul 20..

<<Cazzo…Il problema e’ che io sono un’estimatore della parolaccia. Ci sono momenti nella vita in cui la parolaccia e’ d’obbligo. E’ proprio necessaria. E non parlo della bestemmia che non mi sfagiola. La parolaccia vera, liberatoria, autentica. Quella che scarica i nervi, spegne la furia, scioglie il magone ti slega i coglioni insomma. Odio quelli che dicono.. porco tubo, vaffanbrodo, acciderba, mi stai rompendo i cosiddetti, porca puzzola, cazzarola… Ma che tristezza. Ma di’ sta parolaccia e falla finita. E liberati. Altrimenti godi solo a meta’ e’ come una sega fatta col preservativo. Oppure non dirle proprio>>.

E’ una scelta. Anzi, sai che li stimo quelli che le parolacce non le dicono mai. Mai mai mai.

Vabbeh dai… Io ho gia’ approntato un piano d’emergenza-parolaccia. Non usero’ piu’ riferimenti sessuali. Diro’ solo.. Non farmi girare i Bumbastik, merdarola e Vacheron Constantin».

Ma quella e’ una marca di orologi.

«Si’, ma vien bene come parolaccia».

E basta?

«Anche vaffancul, con la u francese, poetica. Di quella parolaccia li non posso proprio farne a meno».

Hai ragione Carlo. Ci sono cose nella vita che si risolvono solo con un vaffancul.. vacci e chiudiamola qui.

 

Ed ora eccovi il calendario Carlo 2023 e stop